Ciò
che purtroppo sta accadendo in questo travagliato periodo, è la conseguenza di
errori od omissioni, commessi da chi istituzionalmente ha il dovere di
salvaguardare la pubblica incolumità?
Nella
condotta di chi ci governa, si possono ravvisare profili di responsabilità penalmente rilevanti, in relazione alla
diffusione del virus, che ha condotto alla morte prematura di migliaia di
cittadini e al blocco di ogni attività produttiva, che sta determinando
inesorabilmente la recessione economica più grave dal secondo dopoguerra?
Le
domande di cui sopra mi frullano in testa da circa due settimane,
caratterizzate dalla sospensione, per decreto e senza passaggio parlamentare,
di diritti garantiti dalla ns Costituzione, al punto da configurare una
situazione di “dittatura” esattamente coincidente con la definizione che si
legge in un qualsiasi dizionario giuridico di detto termine, a volte usato a sproposito.
Per
ragionare di questo delicato argomento, iniziamo col ricostruire sinteticamente
la successione degli eventi di questa triste vicenda.
Già
dal mese di dicembre 2019, era noto
il rapido diffondersi, in Cina, di casi di infezione indotta da un virus
influenzale polmonare, particolarmente aggressivo. Tant’è che il virus reca nel
nome il numero 19, indicativo dell’anno di “scoperta”. Inoltre alcuni medici
italiani, sul territorio nazionale, cominciavano a riscontrare alcune polmoniti
virali, definite “atipiche” e particolarmente virulente.
Il
30 gennaio 2020 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) dichiarava lo “stato
di emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale”.
Nonostante detta dichiarazione, e le indicazioni di scienziati all’epoca
ritenuti “autorevoli” il governo italiano, nelle fasi iniziali evidentemente
incerto sulle misure da adottare, disponeva misure quali l’attivazione di termo-scanner
e il blocco dei voli diretti dalla Cina. Alcuni politici di opposizione,
allarmati segnalavano, a loro dire, la necessità di provvedere all’immediata
chiusura dei porti, nonché alla messa in quarantena di tutti i cinesi, di
rientro in Italia dai festeggiamenti del loro Capodanno, rimanendo inascoltati
e scatenando nei propri confronti un coro di accuse di “razzismo”.
Tre settimane dopo, mentre ormai il virus
silenziosamente di stava diffondendo, il governo il 21 febbraio emanava un’ordinanza restrittiva, seguita dal decreto-legge n° 6 del 23 febbraio 2020,
recante “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza
epidemiologica da COVID-19”.
La
ovvia espansione sempre maggiore dell’epidemia, innescata dalla iniziale
esitazione, induceva il governo ad emettere il DPCM del 4 marzo 2020 e a dichiarare lo stato d’emergenza, relativo
al rischio sanitario, connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti
virali trasmissibili e a prevedere ulteriori misure di contrasto, sull’intero
territorio nazionale, tra le quali sono elencate “la chiusura di scuole e Università fino al 15 marzo 2020, la
sospensione delle attività formative, delle visite guidate etc”.
La
diffusione di COVID-19, nel frattempo oltrepassati i confini inizialmente
definita ad alto rischio, detta “zona rossa” comprendente alcuni comuni
lombardo-veneti i cui nomi sono divenuti tristemente famosi, si espande in
tutta Italia con casi in numero crescente, giorno dopo giorno.
L’Italia,
in poche settimane, diventa la prima Nazione per contagi dopo l’Asia, focolaio
d’origine dell’infezione.
Difronte
ad una situazione che diventa di ora in ora più grave, temendo seriamente per
la tenuta del Sistema Sanitario Nazionale, nella notte tra il 7 e l’8 marzo
2020 il governo decideva l’immediata chiusura della Lombardia e di altre 14
provincie del nord Italia. La notizia trapelata, diffusa facendo circolare una bozza del decreto, prima che il
provvedimento fosse approvato, ingenerava il panico in coloro che si trovavano
nella “zona rossa” per motivi di svago, studio o lavoro, timorosi di restare
bloccati dal decreto. A quel punto centinaia di persone, senza controllo alcuno,
si riversavano sui treni in partenza per il centro e il sud d’Italia, con
l’intento di raggiungere le regioni d’origine.
Nella
giornata del 9 marzo, dopo avere appreso dalle Autorità Sanitarie che la
situazione era fuori controllo e che ciò determinava la crescita esplosiva dei
casi di contagio, il governo provvedeva ad emanare il DCPM del 9 marzo 2020, col quale dichiarava l’intera Italia “zona protetta”, inasprendo le misure
adottate in precedenza e aggiungendone altre, che di fatto bloccavano l’intera
attività della Nazione.
Ora,
non occorre essere un luminare della “virologia”, per comprendere che
evidentemente qualcosa non abbia funzionato nei meccanismi decisionali, tanto
da determinare una diffusione probabilmente molto maggiore del contagio che la
presa delle decisioni giuste, al momento giusto, avrebbe molto probabilmente
limitato il numero dei morti, non costringendo la Nazione al completo arresto
delle attività produttive.
A
questo si aggiunge il fatto, altrettanto evidente, che i luminari della
“virologia”, consulenti del governo, brancolano nel buio più o meno come i loro
omologhi, ben meno dotati di tecnologia, che si trovarono impegnati a
combattere contro l’epidemia di Peste Nera nel 1350 circa.
Dal
numero di morti, che di giorno in giorno ancora continua a crescere, e dalle
gravissime conseguenze economiche che deriveranno dalla fase emergenziale
tutt’ora in corso, e di cui non s’intravvede la fine, deriva la necessità di
approfondire con rigore se sussistano profili di responsabilità penale e, nel
caso si accertassero, punire in maniera esemplare, i responsabili.
Sarà poi interessante
cercare di comprendere quali “strumenti” mette a disposizione il ns
ordinamento, per perseguire gli eventuali responsabili una volta accertate le
loro responsabilità.